Impariamo ad Imparare Inverno 2019
DSA, dislessia, deficit di attenzione, questi e molti altri sono argomenti che stanno molto a cuore ai genitori ed agli insegnanti.
La ricerca evidence based sta facendo passi da gigante per quanto riguarda la diagnosi e il trattamento, questo è innegabile ma sempre più frequentemente i genitori osservano con occhio critico il percorso di apprendimento dei loro figli e mi contattano preoccupati dal fatto che il loro bimbo non ha ancora acquisito le medesime abilità “scolastiche” dei coetanei; amiche mi domandano se il fatto di non saper ancora leggere fluentemente (alla fine del primo quadrimestre del primo anno della Scuola Primaria) può essere un campanello di allarme per un sospetto di Dislessia.
Fuori da ogni dubbio è il fatto che quest’estrema preoccupazione non fa bene né ai piccini né ai loro genitori. Possiamo affermare che di fronte a richieste simili la prima cosa da fare è ascoltare, la seconda invece è cercare di focalizzare l’attenzione sull’unicità di ogni bambino e di conseguenza sull’unicità degli stili di apprendimento.
Dobbiamo sempre ricordare che i DSA sono dei disturbi a base neurobiologica e pertanto non è possibile parlare di prevenzione. Possiamo invece tranquillamente parlare di Individuazione Precoce dei Prerequisiti dell’Apprendimento, cioè l’insieme delle abilità cognitive che consentono al bambino di apprendere la lettura e la scrittura e di prevenzione delle Difficoltà di Apprendimento (non sono sinonimo di DSA, ricordiamocelo sempre).
È quindi importante effettuare uno screening durante l’ultimo anno della Scuola dell’Infanzia poiché permette di inquadrare le caratteristiche qualitative e temporali dell’evoluzione degli “apprendimenti ” in modo da poter intervenire tempestivamente nel caso in cui si presenti la prospettiva di un’evoluzione lenta, difficoltosa e problematica.
Ciò ci dà la possibilità di realizzare degli interventi di potenziamento mirato utili per ridurre le differenze tra i bambini prima del loro ingresso alla Scuola Primaria e di conseguenza alleviare i disagi emotivi ad esse correlate.
Quando si parla di riabilitazione nei DSA e potenziamento cognitivo, ci si riferisce spesso al termine “metacognizione” dando, erroneamente, per scontato che il suo significato sia pane quotidiano anche per i non addetti ai lavori. Ma di cosa si tratta?
Quando parliamo di metacognizione (Flavell, 1976) ci riferiamo a quella serie di processi cognitivi che coordinano l’attività mentale e riflettono su di essa. Tali processi si suddividono in processi “freddi”: attenzione, memoria, ragionamento e risoluzione dei problemi; e processi “caldi: sfera emotivo motivazionale ((De Beni, Moè e Rizzato, 2003)
L’interazione di questi processi fra di loro determina la metacognizione, o meglio la capacità di mentalizzare ( fare propri gli aspetti esterni), e di conseguenza ha come effetto l’apprendimento: diciamo in parole più semplici che la metacognizione nasce grazie all’attribuzione di significato alle esperienze (cognitive ed emotive) che viviamo.
Facciamo un esempio:
Teo sta iniziando a leggere il nuovo capitolo di storia e per farlo è necessario che stia sul compito (attenzione), ricordi quanto sta leggendo (memoria), ragioni su quello che sta leggendo (come avviene questo? Perché Carlo Magno ha agito in quel modo e non in quell’altro?). Allo stesso modo Teo proverà delle emozioni durante lo studio, e si sentirà più o meno motivato nella sua attività, etc. La consapevolezza di tutti questi aspetti permette a Teo di agire su di essi: ad esempio riportando l’attenzione sul compito se è distratto, cercando di ritrovare la motivazione verso l’oggetto di studio e via.
Lavorare su questi aspetti permette quindi di stimolare l’apprendimento rinforzando i processi che concorrono a determinarlo, favorendo quindi l’aumento di autonomia e di senso di autoefficacia nello studente.
In questo periodo non si sente parlare d’altro e non si legge altro: “troppi compiti per questi poveri bambini”, ” le vacanze servono per riposarsi”, e chi più ne ha più ne metta. E io, da ex studentessa, sono perfettamente d’accordo: meno compiti e più svago. Poi però devo fare i conti con la mia parte adulta, quella che vive in un piano di realtà e che ha presente quale sia, o quale dovrebbe essere, la reale funzione dei compiti.
I compiti dovrebbero servire per far sì che gli apprendimenti acquisiti sino a quel momento non si vadano a perdere tra le carte stracce dei regali ma si consolidino così da assolvere la loro funzione di fondamenta per gli apprendimenti futuri. Per fare questo non è necessario caricare di lavoro gli studenti, ma è sufficiente proporre loro un breve e chiaro percorso di consolidamento. Cioè i compiti non devono diventare l’incubo del Natale, il Grinch delle festività bensì degli alleati per farci tornare a scuola riposati ma “sul pezzo”. Non per rifarmi a detti popolari ma la virtù sta nel mezzo, o no? E tra le virtù ci sta anche la capacità di pianificare e calendarizzare ( in linea di massima) le consegne da svolgere. Pianificare? Beh, i docenti che assegnano i compiti non possono esimersi dal lavorare in sinergia coi colleghi per proporre ai loro giovani studenti un programma vacanziero utile ma non avvilente. La medesima cosa dovrebbe avvenire a casa, cioè i familiari non possono pretendere che i compiti vengano eseguiti davanti al panettone mentre i nonni giocano a tombola, al posto di un bel film al cinema o in una full immersion del 6 gennaio. I compiti devono diventare un modo per allenarsi, non per alzare il livello di acido lattico nei muscoli del nostro “organo di apprendimento”.
Non vi nego che ogni tanto mi viene un dubbio: i compiti fanno più paura agli studenti o ai loro genitori? Mhhhh, un po’ di monitoraggio va bene, ma sono i ragazzi a dover compiere gli esercizi, e noi forse potremmo anche accettare che qualche errore lo facciano. Saranno proprio gli errori, e soprattutto la loro correzione, ad aiutarli nel loro percorso di autonomia. Sì, scuola non è solo SAPERE ma è soprattutto imparare a vivere e nella vita è lecito sbagliare.
Buone feste a tutti
Compiti compìti